Banche centrali in azione contro la crisi da coronavirus
La vita è un percorso ellittico che porta da un helicopter money a un helicopter money. Sì, perché oggi, dopo aver tentato per anni di normalizzare la politica monetaria, le banche centrali di tutto il mondo si ritrovano a dover considerare se sia il caso o no di mettere in moto le eliche per sorvolare la desolata landa economico-finanziaria e inondarla di denaro.
Il motivo? È arcinoto: la pandemia di coronavirus in corso. Un nuovo coronavirus forse non tra i peggiori nella storia in quanto a tasso di mortalità, ma micidiale in termini di contagiosità e comunque molto insidioso, tanto da aver imposto ai governi – prima in Cina, epicentro della diffusione pandemica, poi nel resto del mondo – uno stop senza precedenti alla produzione e ai consumi. Con effetti sull’occupazione e sull’economia che non saranno certamente trascurabili, e che in parte s’intravedono già.
Di fronte a tutto questo, si torna a invocare l’intervento dell’“helicopter money squad”.
Cos’è l’helicopter money?
La teoria dell’helicopter money prevede in pratica l’iniezione di liquidità – attraverso varie vie, per esempio il finanziamento della spesa in deficit dei governi – direttamente nelle tasche di famiglie e aziende. A fondo sostanzialmente perduto. In questo senso si differenzia dal Quantitative Easing, in virtù del quale le banche centrali mettono mano al portafoglio per comperare specifiche attività finanziarie, innanzitutto obbligazioni (ma non solo).
La teoria fu formulata nel 1969 dal Premio Nobel Milton Friedman, che all’epoca parlò di “lancio di denaro da un elicottero” per far ripartire l'inflazione. Tornata ciclicamente in auge negli ultimi cinque decenni, è di nuovo sulla ribalta ora, di fronte allo scenario da guerra imposto dalla pandemia di coronavirus.
Nell’attuale contesto, i sostenitori dell’helicopter money sottolineano come passare dalla teoria alla pratica darebbe una boccata d’ossigeno ai lavoratori e alle imprese. E una prospettiva meno plumbea agli investitori. In ogni caso, si tratterebbe di una misura assolutamente eccezionale, di quelle cui si fa ricorso quando i margini di manovra sui tassi d’interesse sono letteralmente a zero e l’economia corre incontro alla recessione.
Nella realtà, cos’hanno fatto finora le banche centrali?
Banche centrali in prima linea
Se ancora non sono salite sull’elicottero, poco ci manca. La Federal Reserve ha riportato i tassi nel range tra lo 0% e lo 0,25% – livello che non si vedeva dalla crisi finanziaria globale del 2008 – e ha lanciato un programma di Quantitative Easing da 700 miliardi di dollari. Di questi, 500 andranno in acquisti di titoli di Stato e altri 200 in operazioni su titoli ipotecari. Non una mossa isolata: il 3 marzo, sempre per rispondere all’emergenza coronavirus, la banca centrale USA aveva abbassato i tassi all’1%-1,25%, non abbastanza secondo gli investitori e per il presidente Trump. Tra parentesi: fra i due annunci c’è stata anche l’immissione di 1.500 miliardi di dollari nel sistema monetario.
La Fed non è stata l’unica, in questa fase delicatissima, ad apportare aggiunte e correttivi alle sue decisioni d’urgenza. Sul Vecchio Continente, la Banca Centrale Europea giovedì 12 marzo ha annunciato un potenziamento del QE con un piano di nuovi acquisti per 120 miliardi di euro entro l’anno e una nuova tranche di prestiti alle banche per sostenere la liquidità, ma senza intervenire sui tassi (che sono già a zero). Risposta che i mercati hanno ritenuto insufficiente, con una reazione aggravata dalle parole della presidente Christine Lagarde: “non è compito della BCE ridurre gli spread”.
Poi, la retromarcia: dopo una riunione straordinaria, Francoforte ha varato un nuovo Quantitative Easing da 750 miliardi di euro, con acquisti di titoli del settore pubblico e privato. Il programma è illimitato nel tempo, includerà anche il debito greco e i commercial paper non bancari. Non solo: la vigilanza bancaria della BCE intende adoperare maggiore flessibilità sui requisiti di capitale e sui principi contabili per le banche europee.
Anche la Bank of England ha indetto un meeting straordinario per decretare un taglio del tasso allo 0,1%. Quantitative Easing incrementato di 200 miliardi di sterline, a 645: la maggioranza dei nuovi acquisti di asset sarà rappresentata da titoli governativi britannici. Ed è scesa in campo anche la Bank of Japan, che ha deciso di aumentare i suoi acquisti di azioni, obbligazioni e altri asset e di fornire prestiti a tasso zero per un anno a società in carenza di liquidità.
E i governi cosa fanno?
Provano a salire sull’elicottero anche loro. Il nostro esecutivo ha varato il decreto “Cura Italia”, forte della sospensione delle regole del Patto di Stabilità sancita per la prima volta dalla Commissione Europea proprio per consentire ai governi nazionali di far fronte alle conseguenze economiche del coronavirus.
Ancor più significativa la risposta della Germania, da sempre paladina del pareggio di bilancio: non esiterà a fare deficit per contrastare l’impatto del coronavirus. Il 25 marzo, il Parlamento tedesco, ha approvato il piano straordinario che prevede un budget supplementare di 156 miliardi di Euro e la costituzione di un fondo per la stabilità economica per 100 miliardi. L’insieme dei provvedimenti adottati ammonta a circa il 10% del PIL tedesco.
Oltre Oceano, gli Stati Uniti hanno approvato un piano straordinario di 2.000 miliardi di dollari, pari a circa il 10% del PIL. Il piano prevede tra gli interventi principali un fondo da 500 miliardi per aiutare i settori più colpiti, altri 500 miliardi in assegni fino a 3.000 dollari direttamente ai cittadini, 350 miliardi per prestiti alle piccole imprese, 250 a sostegno della disoccupazione e 100 miliardi per ospedali e sistema sanitario.
Ogni governo, in Occidente e non solo, è al lavoro in tal senso: insomma, l’economia non verrà abbandonata a sé stessa.
È tuttavia vero che i Governi non possono da soli fermare la diffusione della pandemia, ma le importanti azioni di questi giorni sono volte a garantire che la liquidità enorme fornita e i piani fiscali di intervento evitino che una crisi esogena si trasformi in una crisi sistemica.