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Attualità

ConsumAttore: quando i consumatori si fanno sentire

I consumatori sono sempre più attenti e guidati, nelle loro scelte, anche da considerazioni di carattere etico e ambientale: alla scoperta di un cambiamento dirompente che sta innescando una vera e propria reazione a catena
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Non ci piace questa azienda perché non rispetta le comunità locali, quell’altra perché non tiene nel giusto conto le lavoratrici, il tal colosso perché consuma molta energia da combustibili fossili e non fa un bel niente per compensare le emissioni di gas serra a ciò correlate. Tutti temi molto attuali e giusti, che richiamano comportamenti che hanno radici nel passato.

Sapevano di poter fare la differenza anche i consumatori inglesi nel Diciottesimo secolo: a quel tempo risale infatti il primo boicottaggio, che mise nel mirino lo zucchero di canna dei Caraibi prodotto dagli schiavi. Un movimento dei consumatori ante litteram, come si dice, che portò alla nascita della specifica, sulle etichette, “zucchero dell’India orientale non prodotto da schiavitù”. Vi ricorda qualcosa?

All’inizio del Ventesimo secolo, i consumatori cominciarono a riunirsi in associazioni dedicate: in Francia, per esempio, nel 1909 fu fondata la Lega dei Consumatori. Ad accompagnarne la nascita, lo slogan “Spendo, dunque sono”. Furono gli albori di quel consumo “etico” che poi sarebbe decollato nella seconda metà del Ventesimo secolo: ancora oggi si ricorda di come, negli anni Novanta, la ONG americana Global Exchange denunciò pratiche abusive da parte di marchi come Nike e Gap, ottenendo una grande risonanza nell’opinione pubblica di tutto il mondo.

Cos’hanno in comune queste iniziative?

L’intento sottinteso e fortissimo è quello di rompere con uno schema puramente verticale e di smettere di essere osservatori passivi. Significa trasformare il sistema vigente dall’interno, facendo pressione attraverso le scelte di consumo. Consumo sostenibile, consumo responsabile, altro-consumo: comunque lo si chiami, l’ambizione è una e una sola. Vale a dire, fare del consumo un atto consapevole.

Dai tempi della denuncia delle pratiche abusive messe in atto dai grandi marchi la tendenza a fare delle proprie scelte di consumo uno strumento di pressione si è rafforzato. Di pari passo, va detto, con l’aumento della sfiducia nei confronti delle aziende produttrici. Prima ancora dell’emergenza climatica e dell’impatto ambientale, abbiamo avuto una serie di scandali sanitari che hanno segnato indelebilmente la coscienza pubblica: i danni provocati dal fumo, i vari morbi (“mucca pazza” & co.) originati dagli allevamenti altamente intensivi e molto poco eticamente condotti, i problemi legati all’uso di coloranti, additivi, pesticidi e diserbanti vari.

Una crisi di fiducia resa ancor più acuta dalla sensazione che la globalizzazione, moltiplicando gli intermediari e le distanze, renda impossibile conoscere con esattezza i prodotti e la loro genesi. Come hanno reagito i consumatori? Diventando sempre di più ConsumAttori.

Benvenuti nell’era del ConsumAttore

Ma chi è il ConsumAttore? È una sorta di “militante” dei consumi: esprime le proprie idee scegliendo di comprare, e dunque sostenere, o non comprare, e quindi boicottare. Fino a qualche anno fa, era possibile, ma non sempre facile, inquadrarlo in un contesto organizzato. “A differenza di un attivista militante, i ConsumAttori possono agire in modo individuale e puntuale. Questo è un problema quando si vuole interagire con loro, perché sono potenzialmente molto numerosi”, sottolineava Eric Rémy, professore specializzato negli aspetti culturali e sociali legati ai consumi. Poi sono arrivati i social, che hanno reso possibile una maggiore concertazione collettiva a suon di hashtag (esempio: “puniamo quel marchio perché appartiene a un’azienda che mortifica la diversity”).

Pochi, ma sempre più forti

Sebbene la tendenza sia innegabile, i ConsumAttori sono ben lontani dall’essere la maggioranza. Ma la ricercatrice Erica Chenoweth ha dimostrato che la mobilitazione anche di una piccola parte della popolazione basta a determinare un’evoluzione delle abitudini sociali. In ogni caso, alle aziende conviene – e non poco – prendere in considerazione le preoccupazioni dei consumatori più impegnati, per due ragioni:

  • perché ciò consentirebbe loro di soddisfare una domanda economica molto precisa;
  • perché, strategicamente, nell’era dei social media, più il consumatore è impegnato e più è disposto a diventare un ambasciatore del marchio.

La società di consulenza Bain & Co. stima che aumentare del 5% la cosiddetta “retention” – la conservazione, per farla breve – dei migliori clienti comporta un incremento delle vendite tra il 25% e il 55%.

La sostenibilità, oggi al centro dell’attenzione

Oggi, spiega Flavien Neuvy, direttore dell’Osservatorio Cetelem che ha condotto un’indagine in 15 Paesi europei esaminando l’evoluzione degli individui verso una coscienza collettiva dei loro consumi, “l’ecologia è il tema chiave. Si consuma pensando anche agli altri”. L’indagine ha anche evidenziato una serie di paradossi, a cominciare dal fatto che gli europei si dichiarano disposti a modificare le loro abitudini di consumo, ma poi il 75% pensa che tali abitudini non cambieranno. Eppure, il 35% ritiene che la soluzione al cambiamento climatico possa venire solo dai consumi: solo le scelte di consumo possono orientare al cambiamento le aziende. Va pur detto che, in un’indagine su larga scala condotta su 20mila consumatori in Nord America, Europa ed economie emergenti, un terzo degli interpellati ha dichiarato di scegliere i marchi in funzione del loro impatto ambientale o sociale.

Non solo ConsumAttore: è tempo di RisparmiAttore

Ecco qua che la dimensione etica si interseca con l’interesse economico. Ma c’è un terzo punto di intersezione, ed è quello con gli investimenti. Un’azienda che tenga conto delle preoccupazioni etiche dei consumatori soddisfa una clientela esigente, aumenta le vendite e migliora il fatturato. Per un investitore può diventare un’occasione interessante, da valutare eventualmente con la consulenza di un esperto. D’altra parte, anche l’investitore, con le sue scelte, può far pressione. Prossima tappa, il RisparmiAttore? Tutto lascia pensare di sì.