Debito pubblico, una variabile decisiva per la crescita
Come qualsiasi impresa o privato cittadino, anche lo Stato deve sostenere delle spese e, per farlo, può indebitarsi, chiedendo denaro in prestito: lo fa per esempio per poter offrire ai cittadini i servizi di cui hanno bisogno, per investire in infrastrutture, per sostenere la propria crescita economica. Ecco, quando si parla del debito accumulato da uno Stato si parla di debito pubblico.
Vi sarà capitato più di una volta di sentir parlare di debito pubblico, probabilmente – azzardiamo – in relazione al debito pubblico troppo elevato dell’Italia e alla necessità di “abbatterlo”.
A quanto ammonta il debito pubblico dell’Italia?
A luglio 2021, segnala la Banca d’Italia, ammontava a 2.725,9 miliardi di euro. E a fine 2020 il rapporto debito/PIL, che indica quanto pesa il debito sul Prodotto Interno Lordo di un Paese, si attestava al 155,6%, spinto (ulteriormente) in alto dalle misure di contrasto alle conseguenze economiche della pandemia di Covid-19. Per farsi un’idea delle dimensioni del nostro debito, basti pensare che, secondo le regole del Patto di Stabilità (un accordo tra i Paesi membri dell’Unione Europea stipulato nel 1997), il debito pubblico non dovrebbe superare il 60% del Prodotto Interno Lordo.
Attualmente l’accordo è sospeso a causa dell’emergenza Covid e rimarrà sospeso almeno per tutto il 2022. Ma l’Italia – come del resto moltissimi altri Paesi dell’Unione – erano ben oltre i limiti da anni. Proprio per questo motivo, il Patto di Stabilità impone, in alternativa al rispetto dei parametri citati, di dimostrare “un calo a un ritmo soddisfacente”. Significa che “il divario tra il livello del debito di un Paese e il riferimento del 60% deve essere ridotto di un ventesimo all’anno”, calcolato come media di un triennio.
C’è debito e debito: i titoli di Stato
Una parte importante del debito pubblico (circa l’84% del totale a fine 2020) è costituita dai titoli di Stato. Cosa sono e come funzionano? Chiunque abbia mai contratto un prestito o un mutuo immobiliare sa che il debito è composto dalla somma erogata come finanziamento e dagli interessi, che costituiscono in qualche modo la “ricompensa” alla quale il creditore ha diritto per aver accettato di assumersi un rischio prestando denaro al debitore. Per lo Stato il meccanismo non è molto diverso. Solo che, al posto di una banca o di una società finanziaria, dall’altra parte trova una serie di attori – pubblici e privati, italiani ed esteri, piccoli e grandi, istituzionali e non – che sottoscrivono le sue emissioni obbligazionarie.
Tali obbligazioni, note anche come “titoli di Stato”, possono essere a breve, media e lunga scadenza. Quelle con cui i piccoli investitori tendono ad avere maggiore familiarità sono:
- i Buoni ordinari del Tesoro (BOT), le cui scadenze vanno dai tre ai 12 mesi;
- i Buoni del Tesoro Poliennali (BTP), le cui scadenze sono invece a medio e lungo termine, fino ai 30 anni e anche oltre.
Ma sul mercato interno il nostro Tesoro propone anche Certificati del Tesoro Zero Coupon (CTZ), Certificati di Credito del Tesoro (CCT e CCTeu), Buoni del Tesoro Poliennali indicizzati all’inflazione europea (BTP€I) e altri BTP “tematici” come il BTP Italia e il BTP Futura.
Vale la pena di investire in titoli di Stato?
Lo scenario è sicuramente interessante e variegato. Ma forse la miglior soluzione, per ora, è restare diversificati: per esempio, scegliendo di puntare su uno o più fondi comuni d’investimento che – offrendo esposizione a un universo ampio di titoli, diversificati anche a livello geografico, su più Paesi e aree economiche – consentono di sfruttare il premio di rendimento diversificando il rischio. E in ogni caso, per ogni dubbio, il consiglio è quello di rivolgersi al proprio consulente finanziario di fiducia, che saprà fornire i chiarimenti necessari e indirizzare verso la soluzione più adatta ai propri bisogni, obiettivi e profilo di rischio.