Guerra e clima: come interagiscono i due temi caldi del momento
Da una parte i governi, le istituzioni e le aziende che quantomeno mostrano l’intenzione di accelerare sugli impegni ambientali verso l’obiettivo delle zero emissioni nette; dall’altra, la crisi – anche in termini di forniture energetiche – innescata dalla guerra in Ucraina.
La domanda è: quanto la guerra in atto – e, più in generale, gli scenari geopolitici che si stanno delineando – metterà i bastoni fra le ruote alla transizione ecologica ed energetica? Hanno provato a dare alcune risposte e indicazioni, nell’ambito del Salone del Risparmio 2022, i relatori che hanno preso parte alla conferenza “Fit for 55: l’impatto degli sviluppi geopolitici sugli obiettivi climatici”, a cura di Assogestioni.
La conferenza deve il suo nome all’impegno che l’Unione europea si è assunta in termini di riduzione delle emissioni nette: un bel 55% in meno entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Impegno, questo, che s’inserisce nel più ampio contesto di un obiettivo ben più ambizioso: ovvero, la riduzione a zero delle già citate emissioni nette entro il 2050. Ed entrambe queste misure si collocano in un contesto internazionale che ha preso avvio nel 2015 con la firma dell’Accordo di Parigi.
Molte cose sono successe da allora e molte ne stanno succedendo da due anni a questa parte: quanto rischiano di vanificare gli sforzi finora compiuti? Ma, soprattutto, da dove, esattamente, siamo partiti?
Perché è importante l’impegno per il clima?
A dare il via al confronto è stato Stefano Pareglio, economista ambientale e docente presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Pareglio ha delineato il contesto macroeconomico nel quale si inseriscono gli impegni ambientali e definito a che punto siamo in merito all’allineamento agli obiettivi climatici per limitare il riscaldamento globale. La premessa, ineludibile, è molto chiara: “il clima sta cambiando”.
E non potrebbe essere diversamente, visto che siamo già a un aumento delle temperature medie globali di 1,1 gradi Celsius rispetto ai livelli preindustriali. Riusciremo a tenere fede agli obiettivi individuati a Parigi nel 2015, ovvero un aumento contenuto entro gli 1,5 gradi Celsius, al massimo 2? Non abbiamo molta scelta: più le temperature medie globali salgono rispetto ai livelli preindustriali, più il gioco si fa duro, durissimo. Per tutti noi. Ma, esattamente, oggi a che punto siamo?
Pagella climatica: come ce la stiamo cavando?
Il +1,5, al massimo 2, rispetto ai livelli preindustriali richiede impegni estremamente seri e convinti da parte di tutti, in termini di riduzione dei gas serra – anidride carbonica ma non solo – e riassorbimento delle emissioni. I primi della classe, al momento, sono gli operatori del comparto dell’energia, che in linea di massima stanno raccogliendo la sfida delle rinnovabili. Anche perché l’attuale contesto geopolitico – un rompicapo non proprio facile da risolvere – ha definitivamente chiarito ai più che il mix energetico deve diventare un fatto e smettere di essere solo uno slogan.
E si arriva così al punto delle forti pressioni esercitate dallo scenario geopolitico su economia ed energia. Renzo Tomellini, capo della segreteria tecnica del ministero della Transizione Ecologica, ha analizzato gli impatti delle tensioni geopolitiche sugli obiettivi climatici del nostro Paese, sullo sfondo di una crisi energetica che spinge con urgenza a prendere in considerazione fonti in grado di sostituire velocemente il gas naturale.
Dalle parole di Tomellini è emerso un messaggio molto chiaro: la transizione deve assolutamente andare avanti. Perché se da una parte gli eventi in corso portano a rimodulare alcune scelte, dall’altra non c’è e non può assolutamente esserci alcuna inversione di rotta. “Chi gestisce il risparmio sa che è nel cambiamento responsabile ed equilibrato verso la decarbonizzazione e verso una molto maggiore indipendenza energetica del nostro Paese che si deve andare”, ha concluso.
Il ruolo degli investimenti nella transizione
Gli asset manager hanno un ruolo cruciale, che si dispiega su vari fronti: quello educativo verso i clienti, quello delle scelte d’investimento sui vari fondi e nell’ambito del sociale, destinando i propri capitali in progetti che possono avere un impatto
Guardando al futuro, molto dipende da quale sarà l’accordo che i Paesi troveranno nel progredire verso il 2050. Il rischio di un percorso di transizione disordinato c’è: dopotutto, Cina e India hanno già fatto sapere che mancheranno l’obiettivo del 2050, e probabilmente a questo blocco si unirà la Russia. Sarà difficile arrivare all’obiettivo in maniera ordinata. Nel frattempo, i tentativi di arrivarci avranno effetti sull’inflazione.
Investire nella transizione? Sì, è possibile
L’intervento di chiusura è stato quello di Stefano Cappiello, direttore della direzione V Regolamentazione e Vigilanza del Sistema Finanziario del Mef. Cappiello ha ribadito come l’Europa sia in prima linea sugli investimenti nella transizione, confermando che la situazione in corso comporterà un’accelerazione, di fronte al dato di fatto della dipendenza energetica e alla necessità di un’indipendenza strategica.
Tutto ciò si può realizzare con un mix di risorse pubbliche e private: quindi, il “PNRR” Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza da una parte e risparmio privato dall’altra.
E veniamo proprio al risparmio privato. Come abbiamo detto in altre occasioni, nella transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio ci sono varie, interessanti opportunità, che un risparmiatore può cogliere, per esempio, con un fondo specializzato sulla transizione energetica o che sappia intercettare i vari e articolati Megatrend in corso. Ma naturalmente, prima di compiere qualunque scelta, è sempre bene confrontarsi con il proprio consulente bancario di fiducia.