Investimento socialmente responsabile. È possibile.
A giugno, i ragazzi del ‘99 hanno affrontato gli esami di maturità. Se ne è parlato molto, forse anche più del solito, perché la formula “i ragazzi del ‘99” ha ricordato a molti l’altra generazione, quella del 1899, che a 18 ebbe da affrontare non la maturità ma qualcosa di decisamente più epocale. Quindi grandi riflessioni e paragoni, per arrivare a una conclusione che non si può negare: nel giro di un secolo, l’umanità è progredita a passi da gigante. Eppure, con il progresso, specialmente nell’ultimo mezzo secolo, sono emerse criticità non di poco conto e che non è più possibile ignorare.
Meno risorse in un mondo che cresce
Nel 1899, la popolazione mondiale era stimata in 1,6 miliardi di individui. Nel 1999, si avvicinava ai 6 miliardi. Oggi – anno 2018 – siamo 7,6 miliardi. Nel frattempo, acqua dolce (e potabile) e combustibili fossili si stanno esaurendo: dal 1970, le risorse idriche si sono dimezzate e secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE) il petrolio potrebbe finire entro i prossimi 50 anni. Ma proprio perché il numero degli esseri umani è in aumento – ed entro il 2050 dovrebbe arrivare a 9,5 miliardi – il fabbisogno energetico è atteso in salita del 50% entro il 2040. In tutto questo, la temperatura aumenta: negli ultimi 30-40 anni, è salita quasi quanto nei 20 mila anni precedenti. E i ghiacci si sciolgono più velocemente che mai. Insomma, se non si fosse capito: è indispensabile un radicale mutamento nell’approccio alla gestione delle risorse del nostro pianeta, per un sereno passaggio di testimone alle prossime generazioni. Di questo, come dimostra anche il quarto Osservatorio Nazionale sullo Stile di Vita Sostenibile (ONS) che racchiude l’indagine condotta per LifeGate dall’istituto Eumetra MR, anche in Italia l’opinione pubblica è sempre più consapevole: sono quasi 38 milioni gli italiani quantomeno interessati ai temi della sostenibilità, 10 milioni in più rispetto al 2017. Molto si deve all’Expo 2015, ma anche al lavoro dei enti internazionali come le Nazioni Unite, che nella loro agenda hanno fissato i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile al 2030. E poi, seppure tra mille difficoltà e altrettanti stop&go, l’accordo Target 2020, il COP21 di Parigi e la Politica Agricola Comune europea.
Aziende più attente, investitori più selettivi
Tutti interventi di indirizzo che hanno la loro importanza, certamente. Ma un ruolo di rilievo possono – e devono – giocarlo anche le aziende e i loro investitori. Le imprese, da parte loro, possono farsi portatrici di una Corporate Social Responsability (CSR), ossia della responsabilità che deriva dall’avere un impatto sul tessuto sociale. Assumo? Licenzio? Tengo nel giusto conto le sollecitazioni che arrivano da dipendenti, collaboratori, consulenti, soci e dalla comunità nella quale i miei impianti sono installati? Tratto bene le mie “quote rosa”, al pari degli uomini? Supporto la genitorialità e la cura dei figli? Inquino? Oppure faccio attenzione alle emissioni e allo smaltimento dei rifiuti, magari contribuendo alla creazione e al mantenimento di spazi verdi?
Sul versante di chi investe, si è fatta largo sempre di più negli anni la sigla ESG, che sta per Environment (ambiente), Social (sociale) e Governance (gestione dell’azienda) e indica i tre fattori di merito che le case d’investimento esaminano per farsi un’idea dei risultati che le scelte dell’azienda consentono di ottenere, appunto, a livello ambientale, sociale e di gestione etica dell’impresa. Questo tipo di analisi non esula da quella più tradizionale, che va ad analizzare ricavi, costi e, in ultimo, la capacità dell’azienda di fare utili. No, anzi: si affianca a questa indagine. E il fatto che vadano di pari passo non penalizza le performance, come dimostra il grafico qui sotto, che mette a confronto l’indice mondiale MSCI World con il suo “cugino” MSCI World ESG Leaders Index, il quale offre un’esposizione alle compagnie con elevate performance ESG.
Investimento socialmente responsabile
L’esito di tutta questa premessa è il Socially Responsible Investment (SRI), cioè l’investimento socialmente responsabile, il cui processo di selezione bada non solo al ritorno finanziario ma anche ai benefici per la collettività. L’investimento socialmente responsabile, data la filosofia che lo caratterizza, in genere include nel suo universo investibile le società con le migliori pratiche in termini di sostenibilità e invece taglia fuori gli emittenti o i settori ritenuti controversi: in linea di massima alcolici, tabacco, gioco d’azzardo, pornografia, armi, contraccettivi, produzione di pellicce e combustibili fossili, e via lungo questo solco.
Ma come può un risparmiatore partecipare a un investimento socialmente sostenibile? I fondi comuni e gli ETF sono i canali più alla portata per realizzare questo tipo di scelta. E ci sono case di gestione, come Amundi, che presidiano questo campo già da oltre un decennio. Nel 2006, infatti, Amundi ha sottoscritto il Principles for Responsible Investment (PRI) e da allora gli investimenti responsabili sono diventati uno dei pilastri della strategia di sviluppo del gruppo.