Passi in avanti per gli investimenti sostenibili: la nuova fase della SFDR
Tutto ha avuto inizio con il Green Deal, varato dall’Unione Europea nel 2019 con l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.
Ma per arrivarci bisogna rivedere i nostri comportamenti e il nostro modello produttivo. Basteranno le iniziative pubbliche? No: occorrerà mobilitare anche gli investimenti privati. Che in realtà finora si sono già in parte mobilitati. Ma bisogna fare di più. E proprio per ottenere di più, l’Unione Europea ha dato forma a tutta una serie di regolamenti che hanno la duplice finalità di incentivare l’impegno dei capitali privati e armonizzare norme e informative sugli investimenti sostenibili.
In particolare, nel quadro del Piano d’azione UE sulla finanza sostenibile ha preso forma la Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR), ovvero il regolamento sull’informativa di sostenibilità dei servizi finanziari. Il Livello 1 di questo regolamento è entrato in vigore nel marzo del 2021 mentre a gennaio 2023 sono entrati in vigore i Regulatory Technical Standards (RTS), gli standard tecnici normativi per il Livello 2.
Ma di cosa stiamo parlando, esattamente? E cos’è cambiato a gennaio?
Sostenibile o non sostenibile? Questo è il dilemma
Concepita con l’idea di dissipare la confusione sugli investimenti sostenibili e contrastare il conseguente “greenwashing” (la “pennellata di verde” per far apparire sostenibile ciò che in realtà non lo è), la SFDR procede gradualmente, per dare ai destinatari della normativa il tempo di adeguarsi. E adeguarsi non è sempre semplice, perché nel frattempo possono sorgere dei dubbi e i chiarimenti da parte delle autorità richiedono tempo per essere formulati. Trattandosi poi di mercati e di investimenti finanziari, occorre procedere con cautela, anche per una maggiore tutela dell’investitore finale.
A che punto siamo con la SFDR? Il Livello 1, come abbiamo detto, è entrato in vigore nel marzo del 2021 e ha introdotto i principi generali. E i principi, fra le altre cose, hanno stabilito una classificazione dei fondi basata sul loro impegno in termini di sostenibilità:
- Fondi Articolo 6: non integrano i criteri di sostenibilità
- Fondi Articolo 8: promuovono, fra le altre caratteristiche, quelle ambientali o sociali.
- Fondi Articolo 9: hanno come obiettivo gli investimenti sostenibili.
Ma quando un investimento è da considerarsi sostenibile? È qui che si è innescato il primo, fondamentale dubbio, poiché le definizioni sono per lo più qualitative e aperte all’interpretazione.
Le preferenze in termini di sostenibilità del cliente contano
Al regolamento SFDR si è poi aggiunto l’aggiornamento del questionario della MIFID II, ossia il questionario che gli operatori finanziari sono tenuti a somministrare periodicamente ai clienti per comprenderne i bisogni, gli obiettivi di investimento e le conoscenze finanziarie.
Ad agosto 2022 il questionario è stato integrato con alcune domande sulle “preferenze di sostenibilità”, un importante passo avanti per il mercato del risparmio: i distributori di prodotti finanziari dovranno conciliare le caratteristiche di sostenibilità dei prodotti che raccomandano con le preferenze dei loro clienti.
L'impegno dei fondi verso una quota minima di investimenti sostenibili diventa quindi un fattore chiave dell’adeguatezza dei fondi proposti con le preferenze di sostenibilità del cliente.
Cos’è cambiato da gennaio 2023 con l’entrata in vigore degli RTS
(Regulatory Technical Standards)
Il Livello 2 del Regolamento SFDR, in vigore dal 1° gennaio 2023, modifica le regole per la classificazione dei prodotti e stabilisce nuovi requisiti di trasparenza, senza specificare il livello previsto.
In particolare, alle società di gestione viene chiesto di formalizzare, per tutti i loro prodotti di cui agli Articoli 8 e 9, gli impegni di esposizione minima in “investimenti sostenibili”. Più specificatamente, stabilisce che un fondo classificato come Articolo 9 deve allocare un investimento del 100% in investimenti sostenibili. E ciò deve essere dichiarato nei nuovi documenti pre-contrattuali del fondo.
Ma il punto è che non esiste una metodologia comune, standardizzata, per definire i criteri in base ai quali un asset è qualificabile come “investimento sostenibile”.
Questa situazione di incertezza normativa ha comportato un’ampia disparità nell’applicazione dei nuovi requisiti da parte degli operatori del mercato e ha reso difficile per gli investitori la comprensione e la comparazione dei prodotti offerti sul mercato.
Riclassificare i fondi: una scelta di trasparenza
Alla luce di questa incertezza, alcuni asset manager hanno precauzionalmente deciso di aggiornare la classificazione dei loro fondi, modificando una parte dei loro prodotti da Articolo 9 a prodotti Articolo 8.
Le strategie di investimento e le altre caratteristiche ESG, così come le caratteristiche dei comparti interessati restano le stesse e senza conseguenze sui rispettivi portafogli o profili di rischio.
Si tratta, appunto, solo di una scelta di prudenza in attesa di ulteriori chiarimenti. Per saperne di più e approfondire il tema, è sempre bene chiedere un confronto con il proprio consulente, che potrà darvi tutte le migliori indicazioni su questi e su altri temi.