Chi ha paura del granchio blu? | Crédit AgricoleChi ha paura del granchio blu? | Crédit AgricoleChi ha paura del granchio blu? | Crédit Agricole
Attualità

Chi ha paura del granchio blu?

Si è molto parlato del granchio blu, ma c’è un’altra novità e si chiama “granchio crocifisso”. Sono entrambi “specie aliene” e preoccupano perché sono una minaccia per la produzione e la biodiversità: ma investire nelle soluzioni al problema si può.
investimentofinanzasostenibilità

Buone notizie per gli appassionati di crostacei: dopo gli astici e le aragoste, presto potrebbero – chissà – sedersi a tavola e assaporare un bell’esemplare maschio di granchio crocifisso. Sì, avete letto bene: il granchio crocifisso. Questo è il nome della nuova specie “aliena” riscontrata nel mare Adriatico: il maschio può arrivare a raggiungere il chilogrammo di peso. Come dire: una discreta mangiata.

Ma accantoniamo per un attimo le estrosità gastronomiche ed entriamo un po’ di più nella storia e, soprattutto, nelle sue implicazioni. Il granchio “crocifisso” è solo l’ultima specie “aliena” la cui presenza è stata riscontrata nell’Adriatico. Prima è arrivato il Callinectes sapidus, ribattezzato “granchio blu” per il colore del suo esoscheletro.  

Nessuno dei due è un crostaceo originario dei nostri mari.

Specie “aliene”: come sono arrivate?

In realtà, se parlare di “invasione” in riferimento al granchio blu ha senso alla luce dei numeri (da inizio anno in Veneto ne sono state raccolte ben 326 tonnellate[1]), il granchio crocifisso finora è apparso al largo di Senigallia, nelle Marche, e avvistato nei pressi di alcuni tra i maggiori porti italiani, come Livorno e Genova (il primo avvistamento nel mar Mediterraneo risale al 2004). Il nome scientifico è Charybdis feriata e normalmente se ne riscontra la presenza nelle zone tropicali dell’oceano Indiano e nel Pacifico.

Ma come hanno fatto il granchio blu e il granchio crocifisso ad arrivare dalle nostre parti? Facile: la causa è attribuita al trasporto delle acque di zavorra delle navi cargo utilizzate per stabilizzarle durante i viaggi. All'interno di queste acque sono presenti uova di queste specie "aliene" che vengono involontariamente prelevate da una parte del mondo per esser poi scaricate a destinazione. 

E invece – indovinate un po’? – l’innalzamento delle temperature che sta provocando i cambiamenti climatici ha favorito l’insediamento del granchio blu dalle nostre parti e lo stesso potrebbe succedere ora con il granchio crocifisso: occorrerà tenerne sotto controllo la diffusione.

Specie “aliene”: un rischio per la biodiversità

Secondo i dati sulla biodiversità[2], in particolare relativi alle specie aliene, forniti recentemente dall’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES) – massima autorità scientifica sulle questioni inerenti la biodiversità e i servizi ecosistemici – le attività umane hanno introdotto oltre 37mila specie aliene in tutte le regioni e i biomi della Terra.

E il veicolo è stato appunto il commercio globale, nelle sue varie rotte. Il problema è che non si può prendere una specie originaria del punto A della Terra e spostarla nel punto B e sperare che non ci siano conseguenze. Malattie, raccolti distrutti, danni anche molto seri a edifici e arredi. Per giunta, l’attuale ritmo di introduzione, affermazione e diffusione delle specie aliene non ha precedenti nella storia dell’umanità: parliamo di circa 200 specie all’anno.

Un costo, oltre che una minaccia alla biodiversità

Secondo un rapporto IPBES uscito precedentemente circa lo stato e le tendenze della biodiversità globale, le specie aliene invasive rappresentano uno dei cinque maggiori fattori diretti di perdita di biodiversità, insieme alla distruzione e al degrado degli habitat, all’inquinamento, al consumo delle risorse e ai cambiamenti climatici.

E non è solo una nobile questione di tutela della biodiversità: stando sempre alle indicazioni dell’IPBES, le specie aliene invasive ci costano ogni anno 423 miliardi di dollari, con un incremento pari a quattro volte ogni decennio dal 1970 a oggi[3]. E le proiezioni ci dicono che il rialzo è destinato a proseguire.

infografica granchio blu

 

Cosa possiamo fare per arginare le specie aliene?

Nel dicembre del 2022, nell’ambito del nuovo Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework, i governi di tutto il mondo hanno concordato di ridurre l’introduzione e l’insediamento di specie esotiche invasive prioritarie di almeno il 50% entro il 2030. Non solo governi. La tutela della biodiversità non è diversa da qualsiasi altra questione ambientale: data la portata della sfida, la risposta deve essere collettiva e includere le aziende e gli investitori.

Anche il mondo della finanza, infatti, può fare la sua parte. In che modo? Gli investitori possono mobilitare le loro risorse finanziarie dando la preferenza alle imprese che, senza tentennamenti, contribuiscono a trovare concrete soluzioni di contrasto alla perdita di biodiversità. Per esempio, con una più rapida riduzione delle emissioni nette di gas effetto serra che, acuendo il riscaldamento globale, alimentano quei cambiamenti del clima che consentono alle specie – animali, ma anche vegetali – di insediarsi e proliferare a scapito delle nostre attività (agricoltura e pesca) e soprattutto delle specie indigene.

In un senso o nell’altro, attraverso le loro scelte gli investitori possono spingere le aziende verso un maggiore impegno. Vale anche per i piccoli investitori, che possono orientarsi su fondi esposti a società il cui impegno per la sostenibilità e per la tutela della biodiversità è serio e comprovato. Con la guida, sempre, di un consulente finanziario.

 

 

[1] https://www.ilrestodelcarlino.it/veneto/emergenza-granchio-blu-326-tonnellate-q7lw2rah

[2] https://www.ipbes.net/IASmediarelease

[3] Vedasi nota precedente.