Cop26: il clima è una priorità (ma non per tutti)
Per alcuni è andata persino meglio del previsto; altri, invece, parlano di cocente delusione. La Cop26 e l’accordo al quale ha portato si possono leggere come un importante passo in avanti o come un “si doveva fare di più”, per esempio sulla riduzione del ricorso ai combustibili fossili e sul sostegno ai Paesi più poveri.
La Cop26, che si è svolta dal primo al 12 novembre a Glasgow, nel Regno Unito, è la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, edizione 2021. Prima ce ne sono state altre 25.
Cos’è la Cop26 e chi vi ha preso parte?
Da quasi tre decenni, l’Organizzazione delle Nazioni Unite riunisce quasi tutti i Paesi della Terra in vertici globali sul clima chiamati Cop, una sigla che sta per “Conferenza delle Parti” (Conference of the Parties): il primo si è svolto a Berlino, in Germania, nel 1995. Vent’anni dopo, nel 2015, nell’ambito della 21esima Conferenza delle Parti, prese forma l’ormai noto Accordo di Parigi. Per intenderci, è quello che stabilisce che è bene mantenere l’aumento delle temperature medie mondiali rispetto ai livelli preindustriali ben sotto il limite dei 2 gradi Celsius, per la precisione entro gli 1,5 gradi.
Non sono dettagli o quisquilie: ogni decimale di grado conta, perché più decimali si aggiungono più si rischia di perdere mezzi di sussistenza e vite umane. C’è di buono che la consapevolezza su questo è cresciuta: come si legge sul sito della 26esima Conferenza delle Parti, infatti, dal primo vertice a oggi “il cambiamento climatico è passato dall’essere una questione marginale a diventare una priorità globale”.
Dopo Parigi: l’importanza di Glasgow
Nel 2015, a Parigi, i Paesi concordarono che ogni cinque anni avrebbero presentato un piano aggiornato sulla riduzione delle emissioni. Glasgow è stato quindi il momento in cui i Paesi hanno aggiornato i loro piani, con un anno di ritardo a causa della pandemia di Covid-19.
Riduzione del 30% delle emissioni di metano e stop alla deforestazione entro il 2030 sono stati i due principali impegni presi dai leader di oltre 100 Paesi nell’ambito degli accordi “settoriali”, riferiti cioè ad aspetti specifici della lotta al riscaldamento climatico e stipulati non all’unanimità, ma fra vari gruppi di Paesi.
Un altro accordo firmato tra 22 Paesi prevede che tra il 2035 e il 2040 tutti i nuovi autoveicoli venduti saranno elettrici: è però mancata la firma dei principali Paesi che producono auto, come Germania, Giappone, Stati Uniti e Cina. Gli Stati Uniti hanno comunque fatto il loro rientro nella “High Ambition Coalition”, un gruppo di Paesi che si propone di limitare l’aumento medio della temperatura globale entro gli 1,5 gradi Celsius indicati a Parigi.
Ma più che i presenti o gli impegni presi, a far notizia è stata l’assenza dei leader di due potenze economiche che sugli impegni per il clima nicchiano un po’: stiamo parlando di Cina e Russia. I Paesi chiave, in realtà, sono quattro: Russia, Cina, India e Arabia Saudita.
- La Russia è il dominus del gas, come sa bene l’Europa, e sul petrolio siede alla plancia di comando di Opec+ insieme all’Arabia Saudita.
- La stessa Arabia Saudita è la potenza che muove le fila della produzione Opec.
- India e Cina, dal canto loro, hanno ambiziosi obiettivi di crescita, ma la loro industria dipende molto dal carbone: e infatti, secondo i dati del Global Energy Monitor, ad oggi in Asia sono decine le centrali a carbone in costruzione[1].
Cosa si è deciso a Glasgow?
Tutto ciò premesso, cosa si è deciso, alla fine, a Glasgow? I rappresentanti degli oltre 200 Paesi presenti hanno raggiunto un accordo che, per la prima volta, indica un piano per ridurre l’uso del carbone. L’accordo conferma l’obiettivo di limitare a 1,5 gradi centigradi il riscaldamento globale, rispetto ai livelli pre-industriali, chiedendo di accelerare gli sforzi verso la riduzione globale dell’energia e del carbone e di eliminare gradualmente i sussidi ai combustibili fossili. Il piano è stato giudicato carente da molti Paesi partecipanti e dagli ambientalisti, dal momento che si parla appunto di ridurre l’uso (“phase down”) e non più di eliminarlo (“phase out”). Una modifica voluta all’ultimo momento da India e Cina, che ha “annacquato” secondo molti il testo finale dell’accordo.
In ogni caso, l’esplicito riferimento alla riduzione del carbone, inserito per la prima volta nelle conclusioni della conferenza, è un fatto positivo. “Hanno cambiato una parola ma non possono cambiare il segnale che esce da questa Cop, che l’era del carbone sta finendo”, ha commentato l’associazione ambientalista Greenpeace. Il Premier Johnson aggiunge “C’è ancora molto da fare nei prossimi anni. Ma l’accordo di oggi è un grande passo avanti”. Anche la Commissione Europea si è espressa con toni positivi sul Patto di Glasgow “che mantiene vivi gli obiettivi dell’Accordo di Parigi” ha dichiarato Ursula von der Layen, sottolineando però che non si può più perdere tempo e che si prospetta un lavoro duro per il futuro. Di tutt’altro tenore il commento su Twitter di Guterres, Segretario delle Nazioni Unite, che considera il risultato di Cop26 un compromesso che riflette gli interessi e la volontà politica nel mondo di oggi.
Aziende e investitori possono fare la loro parte
Ma se i leader politici tentennano, possiamo sempre sperare – e non sembra una speranza vana – nel balzo della tecnologia, spinto dalle aziende con il supporto degli investitori. Pochissimi settori, infatti, sembrano destinati a rimanere inalterati nel medio termine. E dopotutto, nella transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio ci sono per tutti – anche per le potenze economiche oggi più recalcitranti – grandi opportunità.
Opportunità che un risparmiatore può cogliere, per esempio, con un fondo che sappia guardare al futuro e intercettare i Megatrend in corso. E che magari, in virtù di una chiara politica di engagement messa in atto dai suoi gestori, riesca a stimolare le aziende a muoversi nella giusta direzione per garantire una transizione efficace e giusta per tutti.
Prima di operare qualunque scelta, e per dissipare tutti gli eventuali dubbi, si può, come sempre, parlarne con il proprio consulente bancario di fiducia.
[1] https://globalenergymonitor.org/projects/global-coal-plant-tracker/tracker/