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L'agroalimentare italiano si fa strada sui mercati esteri

Le esportazioni sono cresciute in volume a una media del 7,6% l’anno.
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Negli ultimi dieci anni il settore agroalimentare italiano ha aumentato la sua competitività sui mercati esteri. Le esportazioni sono cresciute in volume a una media del 7,6% l’anno, due punti percentuali in più rispetto a quella del totale delle esportazioni mondiali. Una corsa che ha fatto innalzare la nostra quota di mercato dal 2,8% del 2012 al 3,4% del 2022. Germania e Francia restano davanti (4,8% e 4,3%), ma in dieci anni il divario si è ridotto. Nel periodo 2010-2022, le esportazioni agroalimentari italiane sono aumentate del 34%, superando il tetto dei 60 miliardi di euro. A rivelarlo è la prima edizione del Rapporto sull’agroalimentare italiano” di Ismea, presentato a ottobre 2023.
 
Nel 2022 il valore aggiunto dell’agroalimentare italiano è stato di 64 miliardi di euro: 37,4 per il settore agricolo, 26,7 per l’industria alimentare. Il comparto vale il 3,7% del valore aggiunto dell’intera economia. L’agricoltura, invece, negli ultimi anni sempre più alle prese con le gravi conseguenze delle avversità climatiche, è scesa dal secondo al terzo posto per produzione in Europa, superata dalla Germania, mentre la Francia mantiene il primato. Anche come valore aggiunto l’Italia è scesa dal primo al secondo posto, superata dalla Francia. 
 
La produzione dell’industria alimentare italiana nel periodo 2019-2022 è andata bene, meglio rispetto all’Ue e all’Eurozona, ma nel 2023 registra una battuta d’arresto, con una flessione del 2,1% in volume nei primi quattro mesi. L’industria alimentare italiana rimane sul gradino più basso del podio nel Vecchio Continente con circa il 12% del valore aggiunto totale dietro Berlino e Parigi. 
Roma è leader incontrastata per la produzione di pasta, con più del 73% del fatturato Ue, e ha un ruolo di rilievo anche nel vino (28%), nei prodotti da forno e biscotti (21%), negli ortofrutticoli trasformati, nell’industria del caffè, del tè e delle tisane, in quella molitoria e del riso, con un peso pari al 17% del fatturato europeo. 
 
Dall’indagine svolta dall’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo e Alimentare emerge che nel triennio 2020-2022 l’andamento dei prezzi dei prodotti acquistati e venduti nelle varie fasi della filiera agroalimentare della Penisola è migliorato per l’agricoltura e peggiorato per l’industria alimentare. La conseguenza è che il valore aggiunto agricolo, nonostante la sua contrazione a valori costanti, è cresciuto a prezzi correnti. Mentre la fase di trasformazione ha mostrato una netta ripresa del valore aggiunto in termini reali nel 2021 e nel 2022, ma a prezzi correnti ha subito una flessione in entrambi gli anni, soprattutto nel 2022. L’agricoltura nel suo complesso ha quindi recuperato le perdite in volume, grazie al riequilibrio del rapporto tra prezzi e costi, in favore dei primi. 
 
Il valore aggiunto medio per le imprese agricole è pari a meno di 32mila euro, a fronte di 527mila euro per l’industria alimentare, delle bevande e del tabacco, 144mila della distribuzione (ingrosso e dettaglio) e 84mila della ristorazione. 


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