Cambiamenti climatici: investire per il nostro futuro
“Tutti sono necessari. Tutti sono benvenuti”. Con queste parole, la giovane studentessa svedese Greta Thunberg ha dato il via a una nuova battaglia contro le minacce dei cambiamenti climatici in corso. Il suo appello ha raccolto l’adesione di milioni di persone in tutto il mondo – per lo più giovani e giovanissime – preoccupate per il futuro del nostro pianeta.
Ma il tema non riguarda solo policy makers e privati cittadini: riguarda anche il mondo della finanza e degli investimenti, che può dare un grosso contributo alla lotta ai cambiamenti del nostro clima.
Cambiamenti climatici, quello che c’è da sapere
“Vorrei avere un po’ di quel riscaldamento globale di cui tutti parlano”, cinguetta ogni tanto qualcuno – anche VIP – su Twitter di fronte alle tormente di neve e al freddo record che affligge alcune aree del mondo, volendo fare dello spirito. Spesso ignorando, però, che i cambiamenti climatici non sono circoscritti alle temperature più alte della media puntualmente registrate negli ultimi anni. Alluvioni, uragani, ondate di caldo o di freddo eccezionali, precipitazioni o siccità senza precedenti: tutte facce di un unico, grande prisma, che è quello appunto delle modifiche del nostro clima.
Nonostante ciò che è di fronte agli occhi di tutti, alcuni ritengono che il cambiamento climatico sia un’invenzione, altri che non sia un evento imminente e così pericoloso, altri ancora che l’uomo c’entri poco o niente. Ma la scienza non ha dubbi: secondo l’ultimo rapporto dell’IPCC, il gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite che studia i cambiamenti climatici, le attività umane hanno contribuito ad aumentare di circa un grado Celsius la temperatura del pianeta Terra rispetto ai livelli preindustriali.
L’organizzazione meteorologica mondiale ha certificato inoltre come senza tagli rapidi alle emissioni di anidride carbonica e altri gas serra, il cambiamento climatico avrà impatti sempre più significativi sulla nostra vita. Pensiamo all’innalzamento del livello dei mari e ai fenomeni meteorologici estremi già citati, che in alcuni casi costringeranno sempre più individui a emigrare (e gli impatti geopolitici delle migrazioni sono già sotto gli occhi di tutti).
“Make the Earth great again”
Nell’ambito degli impegni internazionali assunti dai governi per affrontare la questione, spicca l’Accordo di Parigi siglato nel 2015 da 195 Paesi, il quale però non sta ancora dando i risultati sperati. Ad oggi, nell’Unione Europea i gas serra sono rimasti pressoché stabili, mentre in quasi tutti gli altri Paesi le emissioni sono addirittura cresciute.
L’Europa, il terzo produttore di gas serra dopo la Cina e gli Stati Uniti, non sembra però voler demordere e punta a una riduzione del 40% delle emissioni entro il 2030. Tra gli obiettivi primari dell’UE c’è l’aumento della quota di energia da fonti rinnovabili e la conseguente diminuzione di quella da fonti fossili, che sono le più inquinanti.
Nel panorama globale, secondo il Climate Change Performance Index 2019, sono i Paesi del Nord Europa a guidare la lotta al cambiamento climatico, seguiti da Portogallo, India e Marocco, che si distinguono per l’attivazione di politiche tese a ridurre le emissioni di Co2 e ad aumentare l’utilizzo di fonti rinnovabili attraverso politiche climatiche nazionali.
Il ruolo degli investimenti “green”
E mentre i governi di colossi economici come gli Stati Uniti insistono – per varie ragioni – nel voler puntare ancora su petrolio e carbone mentre altri, come visto, stanno facendo qualche debole tentativo per modificare questo status quo, le grandi aziende e gli investitori stanno già passando dalle parole ai fatti.
Anzi, in molti casi sono gli stessi manager aziendali a chiedere alla politica un cambio di passo più convinto e coraggioso che li aiuti nella transizione. In Europa molti tra i principali gruppi industriali stanno investendo nella decarbonizzazione, mentre negli USA l’economia sta inviando segnali non del tutto in sintonia con la visione “fossil-centrica” dell’amministrazione Trump.
E non finisce qui. Secondo la Banca Europea per gli Investimenti (BEI), l’opinione pubblica è convinta che gli investimenti globali, piuttosto che gli interventi nazionali, possono giocare un ruolo più efficace nella lotta ai cambiamenti climatici. Per questi motivi, non solo i grandi investitori ma anche i retail si stanno aprendo alle strategie SRI (Sustainable and Responsible Investment), che puntano sulla sostenibilità e la riduzione degli impatti sul clima e l’ambiente.
Ok, ma in cosa investe chi vuole seguire una strategia sostenibile e responsabile? Facile: in titoli emessi da aziende – o in prodotti finanziari che li contengono– con un alto punteggio ottenuto secondo i criteri ESG (Environmental, Social, Governance) . Chi conferisce questo punteggio? Dipende: nel caso dei fondi comuni, è la società di gestione che se ne occupa, con una apposita certificazione ad opera di esperti.
Ma si può investire responsabilmente senza rinunciare al rendimento?
Numerose ricerche accademiche e di settore dicono di sì. Ad esempio, un recente studio presentato al Forum per la Finanza Sostenibile a settembre 2018, condotto su 882 titoli dell’indice Stoxx Europe 600 nel periodo 2012-2017, ha dimostrato che le imprese con elevato rating ESG presentano performance migliori, sia in termini di risultato di bilancio, sia nell’andamento dei titoli, che pertanto risultano più redditizi per gli investitori.
Sul mercato sono già disponibili molte opportunità per cogliere questi trend e promuoverli attivamente, ma per andare sul sicuro, la regola è sempre la stessa: parlarne con il consulente di fiducia.