Investire nelle eccellenze italiane si può: ecco a voi l’ELTIF
Gran cosa, il Made in Italy. Lo sa bene il settore alimentare: nel 2020 ha tenuto, registrando un fatturato sostanzialmente stabile nel confronto con quello dell’anno precedente (-1%). Merito, secondo l’analisi Coldiretti, dell’export, che “ha fatto segnare il record storico a 46,1 miliardi, in netta controtendenza rispetto agli altri settori produttivi”. Il settore, sempre citando la Coldiretti, diventa quindi così “la prima ricchezza del Paese”. Questo proprio perché nel mondo c’è ancora voglia di Made in Italy in tavola.
Per il piccolo investitore che il Made in Italy voglia assicurarselo non solo in tavola ma anche nel portafoglio, le possibilità sono essenzialmente tre:
- puntare sui più promettenti titoli azionari del settore;
- puntare sui più convincenti titoli obbligazionari del settore;
- sottoscrivere un fondo che contenga entrambe le categorie, azionario e obbligazionario, e che quindi diversifichi per benino le fonti di rischio e di rendimento.
I titoli ai quali ci riferiamo sono generalmente quotati in Borsa e quindi scambiati su mercati aperti al pubblico. Ma c’è da dire che molte eccellenze italiane – del settore alimentare e non solo – non sono quotate. Possiamo lo stesso investire? Sì. E come? Con un investimento alternativo illiquido, che dopo il Regolamento UE n. 2015/760 non è più appannaggio solo degli investitori istituzionali ma è accessibile anche agli investitori privati. E la chiave d’accesso si chiamaEuropean Long Term Investment Fund. O ELTIF.
ELTIF: cosa sono e come funzionano?
Gli ELTIF sono fondi chiusi che, di fatto, vanno a finanziarie le attività cosiddette “illiquide”, come sono per definizione quelle delle imprese non quotate. La sottoscrizione può avvenire soltanto nell’arco di precise finestre temporali e la durata dell’investimento deve essere di cinque anni come minimo. In alcuni casi c’è la possibilità di rimborso anticipato, se però è specificatamente prevista nel regolamento.
Quali strumenti d’investimento possono entrare nel portafoglio di un ELTIF? Anche in questo caso, come per i fondi PIR ordinari, c’è l’obbligo di destinare:
- almeno il 70% del patrimonio del fondo ad azioni e obbligazioni di società non finanziarie, non quotate o, se quotate, con una capitalizzazione inferiore ai 500 milioni di euro, stabilite nell’Unione Europea o in un Paese terzo che risponda a precisi requisiti in termini di normative antiriciclaggio, antiterrorismo e fisco;
- il restante 30% ad attività diverse dagli investimenti a lungo termine.
In ogni caso, ai fini di un’adeguata diversificazione, l’esposizione del fondo a ciascun emittente non deve andare oltre il 10%.
Sostenere le imprese (con un vantaggio fiscale)
Anche i fondi ELTIF, così come i PIR, sono nati con l’obiettivo di mettere il risparmio privato in contatto con le imprese, in primis quelle piccole e medie. Creando in questo modo un canale di finanziamento alternativo a quello bancario classico e, se vogliamo, anche a quello dei mercati più tradizionali, come sono per l’appunto le Borse. Anche gli ELTIF, come i PIR, proprio nell’ottica di dare supporto allo sviluppo delle imprese, richiedono all’investitore un impegno di lungo termine. In cambio, però, offrono anch’essi un incentivo fiscale che, se ben sfruttato, può arricchire e non di poco il rendimento finale.
Coerentemente con la normativa europea istitutiva degli ELTIF, infatti, un fondo di questo tipo consente di beneficiare dell’esenzione totale della tassazione sulle rendite finanziarie e sull’imposta di successione. Non solo: in virtù di un’agevolazione prevista dalla Legge di Stabilità per il 2021, i sottoscrittori del fondo beneficiano del credito d’imposta per le eventuali perdite e/o minusvalenze, se queste derivano da un fondo sottoscritto a partire dal primo gennaio 2021 e sono riferite a investimenti fatti entro la fine dell’anno.
Gli ELTIF tra rischi e opportunità
Certo, come in tutti gli investimenti, non mancano i rischi:
- di liquidità, dal momento che si tratta di fondi che investono in attività non quotate;
- di orizzonte temporale, che – come abbiamo visto – è mediamente superiore ai cinque anni;
- di default di uno o più investimenti del fondo.
Proprio per questo il legislatore ha previsto, fra le altre cose, un tetto: l’investitore privato il cui portafoglio di strumenti finanziari non superi i 500 mila euro potrà investire al massimo il 10% del suddetto portafoglio, fermo restando che la somma inizialmente investita deve essere pari ad almeno 10 mila euro.
D’altro canto, non investendo si possono perdere opportunità anche molto interessanti, legate a doppio filo a quelle eccellenze di cui il Made in Italy non è certo carente, ma che spesso e volentieri non sono quotate in Borsa.
Vale quindi la pena di parlarne con il proprio consulente di riferimento, che saprà fornire tutte le indicazioni del caso, anche alla luce degli obiettivi e del profilo di rischio dell’investitore. Tenendo comunque a mente la regola valida sempre e comunque: diversificare, diversificare, diversificare.