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Terre rare: cosa sono e quali implicazioni hanno

Il nome fa pensare a qualcosa di esotico: in realtà, sono elementi chimici presenti nel suolo utilizzati per produrre microchip, magneti, schermi a colori. Il loro ruolo è fondamentale in molti campi. Ecco tutto quello che c’è da sapere.
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Vi ricordate quando l’ex presidente USA Donald Trump annunciò di voler comprare la Groenlandia? Bene: vi siete mai chiesti perché? Il perché è subito detto: dietro l’ambiziosa idea di acquistare l’isola più grande al mondo – per molti aspetti politico-economici ancora sotto la giurisdizione danese – si nascondeva una guerra strategica su chi, in futuro, controllerà le rotte dell’Artico, ma non solo.

La partita si giocava – e si gioca tuttora – soprattutto su chi metterà le mani sui grandi giacimenti di materie prime presenti nella remota Groenlandia. Le materie prime in questione sono le cosiddette “Terre Rare”, cioè elementi chimici presenti nella crosta terrestre e nel suolo del nostro pianeta.


Cosa sono le Terre Rare?

Il nome suona remoto ed esotico. In realtà, ogni volta che usiamo il nostro smartphone abbiamo in mano circa un grammo di Terre Rare. Sì, perché le Terre Rare non sono altro che materiali chimici presenti nel suolo terrestre con proprietà uniche, diventati vitali per lo sviluppo delle più moderne e sofisticate tecnologie per la transizione green e non solo.

Scandio, ittrio e i lantanoidi, cobalto e samario si utilizzano per produrre superconduttori, microchip, magneti, fibre ottiche laser, schermi a colori, tutti componenti fondamentali in molti campi, da quello sanitario e militare a quello della “tecnologia verde”, delle auto elettriche e dei pannelli fotovoltaici.

Tutti settori fortemente dipendenti dalle Terre Rare e dalla loro lavorazione. Lavorazione che però non è priva di un certo impatto ambientale. Queste terre si dicono “rare” per via della scarsità di giacimenti sufficientemente grandi e concentrati da rendere conveniente l’attività estrattiva, controllata nel mondo quasi totalmente dalla Cina.


Il petrolio di domani?

Le Terre Rare, insieme ad altri elementi come il litio, hanno scatenato negli ultimi anni una vera e propria “corsa all’oro” tra i Paesi del mondo. Da tempo, per esempio, costituiscono una delle ragioni di tensione fra Washington e Pechino. Il Dragone asiatico – che detiene più dell’80 per cento dei giacimenti ed è anche l’unico Paese in grado di controllare l’intera filiera produttiva – non ha esitato a utilizzare questa leva nelle trattative.

Gli Stati Uniti, dal canto loro, non sono privi di Terre Rare: c’è la vecchia miniera californiana di Mountain Pass, tornata in funzione nel 2018 e dalla quale nel 2020 è venuto fuori quasi il 16% dell’offerta mondiale di terre rare, e poi ci sono risorse in Alaska, Nebraska, Texas e Wyoming. Però, appunto, negli States ci sono ben altri vincoli ambientali, che rendono lo sfruttamento dei giacimenti assai più complicato.

Ma le conseguenze di rifornimenti a singhiozzo o bloccati potrebbero essere estremamente rilevanti per l’economia mondiale: un aumento dei prezzi delle Terre Rare farebbe registrare rialzi a doppia cifra su tutti quei prodotti che andremmo ad acquistare e un eventuale stop metterebbe in ginocchio intere industrie produttive. Senza contare le ripercussioni sulla tabella di marcia della transizione energetica. Ed è proprio per questo che i grandi attori globali stanno intraprendendo una politica aggressiva tesa all’accaparramento e allo sfruttamento delle riserve di minerali “tecnologici” come il litio.

Non ci sono solo gli americani e i cinesi sul terreno di gioco, ma anche tutti quei Paesi che stanno scoprendo ora un tesoro sotto i loro piedi: dalla regione artica all’Afghanistan, al Messico e all’Australia, la battaglia è già iniziata.


Il futuro è delle Terre Rare

Dalle turbine eoliche alle auto elettriche, passando per smartphone, laptop, microchip, laser e via di questo passo: tutta la tecnologia del 21esimo secolo dipende – e dipenderà sempre di più – dalle Terre Rare. Un mercato che circa tre anni fa valeva già 11,3 miliardi di dollari e che continua a crescere esponenzialmente: secondo l’Università del Delaware, la transizione verso una società “low carbon” richiederà infatti una sempre più vasta quantità di metalli e minerali.

Le dispute per accaparrarsi i nuovi giacimenti sono già iniziate: in Messico gli Stati Uniti stanno cercando di controllare direttamente la produzione di litio, la Cina sta investendo in molte società minerarie sparse per il mondo – come la congolese Glencore – le nazioni a ridosso del Circolo Polare Artico, come Russia, Canada, USA e Norvegia, si stanno dando battaglia in merito a questioni di sovranità sulla piattaforma continentale. Insomma, in futuro il fronte delle Terre Rare è destinato a diventare sempre più caldo.


Investire nelle Terre Rare

Considerando che le applicazioni e gli impieghi dei minerali delle Terre Rare sono enormi, non ci vuole la sfera di cristallo per capire che in futuro la domanda dovrebbe continuare a crescere. Bisogna considerare però che il mercato in questione è meno trasparente rispetto a quello di altre materie prime, soprattutto per quanto riguarda i prezzi. Inoltre, molto dipenderà dall’evolversi delle relazioni commerciali tra Washington e Pechino – certamente non meno tese ora che alla Casa Bianca c’è il presidente Joe Biden – che influenzeranno in modo determinante anche il mercato delle Terre Rare.

Teniamo sempre presente che gli indici legati alle Terre Rare sono comunque molto volatili e forse troppo specifici per assicurarsi un investimento senza sorprese. In ogni caso, meglio chiedere aiuto al proprio consulente finanziario, che saprà analizzare rischi e opportunità di tale investimento in un’ottica di giusta diversificazione e compatibilmente con la propensione al rischio e gli obiettivi di ciascun cliente.