Negli investimenti non tutta l’illiquidità viene per nuocere
Complice la ricerca di rendimenti in un periodo di tassi bassi, a zero o addirittura negativi, gli investimenti alternativi illiquidi stanno vivendo una fase di rinnovato interesse sul mercato. Interesse che si concentra sul real estate (che poi è l’immobiliare), sulle infrastrutture (per esempio, per la transizione energetica e le rinnovabili), sul private debt (interessante alternativa, a determinate condizioni, ai bond quotati) e sul private equity. Tutti canali d’investimento che sfociano nell’economia reale e che possono aiutare a diversificare ulteriormente le fonti di rischio e, per l’appunto, di rendimento di un portafoglio.
Siamo sostanzialmente nel campo dei Fondi di Investimento Alternativi (FIA), categoria nella quale rientrano i fondi di private equity e i fondi di private debt. Il rendimento potenziale è elevato, a patto di tener presenti i rischi.
Ora anche per il piccolo investitore
Tradizionalmente di appannaggio degli investitori istituzionali, grazie al Regolamento UE n. 2015/760 gli investimenti illiquidi sono divenuti accessibili anche agli investitori privati attraverso l’istituzione degli ELTIF, i fondi di investimento europei a lungo termine.
Di cosa si tratta? Gli ELTIF sono fondi chiusi che mirano a finanziarie attività illiquide, come le piccole e medie imprese non quotate, e attività materiali e immateriali, ovvero progetti infrastrutturali o di ingegneria industriale che promuovano l’innovazione e la competitività, con un orizzonte temporale di lungo termine. La sottoscrizione può avvenire solo durante determinate finestre temporali e la durata prefissata è di almeno cinque anni. In alcuni casi, se specificamente prevista nel Regolamento, c’è la possibilità di rimborso anticipato.
Altra caratteristica saliente riguarda gli strumenti d’investimento ammissibili. Infatti, è previsto l’obbligo di allocare almeno il 70% del patrimonio del fondo in azioni e obbligazioni di società non finanziarie, non quotate oppure, se quotate, con una capitalizzazione inferiore a 500 milioni di euro, stabilite nell’Unione Europea (o in un Paese terzo che risponda a precisi requisiti in termini di normative antiriciclaggio, antiterrorismo e fisco). Il restante 30% del patrimonio del fondo può essere destinato ad attività diverse dagli investimenti a lungo termine. Infine, per consentire un’adeguata diversificazione, l’esposizione del fondo a un singolo emittente non deve superare il 10%.
Insomma, si tratta di fondi che mirano a sostenere la crescita delle piccole e medie imprese europee, richiedendo all’investitore un impegno di lungo termine in cambio di un rendimento potenziale interessante.
Nuove opportunità di rendimento, ma attenzione ai rischi
Di certo il rendimento potenziale di questi strumenti è elevato, ma occorre tener bene presenti i rischi. In primo luogo il rischio di liquidità. Si tratta infatti di fondi che investono in attività non quotate e che possono pertanto presentare difficoltà di smobilizzo, essenzialmente a causa della carenza di acquirenti interessati o della mancanza di un mercato consolidato per gli scambi.
Altri elementi da considerare attentamente sono il rischio di orizzonte temporale, che è in media superiore ai cinque anni (e spesso senza possibilità di uscire dall’investimento prima della scadenza) e operativi, per via delle probabilità di fallimento (o default che dir si voglia) di uno o più investimenti del fondo, default che peserebbe in modo importante sul rendimento finale.
Proprio per tutelare gli investitori privati, il legislatore ha ritenuto necessario prevedere un apposito test di idoneità e un’adeguata consulenza in materia di investimenti. Inoltre, se l’investitore privato ha un portafoglio di strumenti finanziari che non supera i 500 mila euro, non potrà investire un importo complessivo superiore al 10% del suo portafoglio di strumenti finanziari nel Fondo e in qualsiasi altro ELTIF, fermo restando che l’importo iniziale investito non potrà essere inferiore a 10.000 euro
Ma proprio perché maggiore è il rischio e più elevato è il rendimento, può aver senso fare un po’ di spazio in portafoglio a questo tipo di strumenti. Sempre, ovviamente, in sintonia con gli obiettivi e la personale propensione al rischio.
Una regola sempre valida: diversificare
Come dicevamo, l’investimento in attività illiquide è diventato sempre più popolare fra gli investitori individuali e istituzionali. A metà 2018, i fondi alternativi con sede in Europa detenevano 1.620 miliardi di euro di attivi in gestione, con il Regno Unito che si confermava il mercato di gran lunga più grande (948 miliardi gli euro in gestione).
Insomma: c’è vita oltre gli investimenti liquidi. Basta tenere a mente la regola di sempre: diversificare. E per andare ancor più sul sicuro, mai come per questi prodotti, occorre evitare di fare da sé.
Molto meglio, invece, rivolgersi al consulente di riferimento, che può aiutare a far luce su ogni tipo di strumento e investimento, liquido o illiquido che sia.