Perché investire nell’istruzione è più urgente che mai
Questo è stato un anno straordinario di sofferenza a causa della pandemia Covid. Un anno di isolamento ed esclusione forzata, di angoscia, crisi spirituale e di non pochi morti, e di una crisi educativa senza precedenti. Più di un miliardo di bambini hanno dovuto affrontare interruzioni nella loro istruzione. Centinaia di milioni di bambini sono rimasti indietro nelle opportunità di sviluppo sociale e cognitivo”. Sono le parole pronunciate da Papa Francesco in un videomessaggio per il lancio della Missione 4.7 e del Global Compact on Education.
L’impatto della crisi sull’istruzione
L’istruzione in effetti è stata tra i settori più colpiti dalla crisi sanitaria ed economica: la chiusura delle scuole in tutto il mondo per prevenire la diffusione dei contagi ha esacerbato le disuguaglianze, con gli studenti delle aree più povere – l’Unicef stima il 31% degli studenti di tutto il mondo – che sono rimasti completamente tagliati fuori dalla didattica a distanza, non disponendo della tecnologia necessaria per prendervi parte. Non solo. Nel lungo periodo in cui le scuole sono rimaste chiuse, lo scorso anno, gli insegnanti hanno dovuto adattarsi a nuovi concetti pedagogici e modalità di insegnamento per cui non erano stati formati. Infine, il lockdown e la chiusura delle scuole hanno fatto lievitare il tasso di abbandono scolastico, con prevedibili contraccolpi sui livelli occupazionali futuri.
Per l’Italia, tutto questo si innesta in una situazione già di per sé non proprio idilliaca per il settore: secondo l’Education and Training Monitor 2020, un report sull’educazione e la formazione realizzato ogni anno dalla Commissione Europea, la spesa per l’istruzione in Italia rimane tra le più basse nell’UE, nonostante un lieve incremento nel 2018. In particolare, la spesa pubblica per l’istruzione si attesta in Italia al 4% del PIL contro una media UE del 4,6%, e all’8,2% della spesa pubblica totale, contro una media UE del 9,9%.
Il ruolo di Next Generation EU
Insomma, in un momento storico eccezionale come quello che stiamo vivendo, il tema dell’investimento nell’istruzione torna centrale e urgente come non mai. La buona notizia è che questa crisi offre al nostro Paese un’opportunità più unica che rara di rimediare agli errori del passato. L’opportunità in questione si presenta con un nome che è già di per sé una chiara indicazione di come sfruttarla: stiamo parlando del fondo Next Generation EU, che dovrebbe portare nelle casse italiane fino a 209 miliardi di euro tra prestiti e finanziamenti a fondo perduto da destinare, appunto, alla costruzione di un futuro migliore per le prossime generazioni.
Il tema dei giovani è molto caro al nuovo presidente del Consiglio Mario Draghi. “Occorre proseguire nella riforma del nostro sistema di istruzione, già in parte avviata, con l’obiettivo di innalzare i livelli di apprendimento, che sono tra i più bassi nel mondo occidentale anche a parità di spesa per studente”, diceva Draghi già dieci anni fa, nel 2011. “Troppo ampi restano i divari interni al Paese: tra Sud e Nord, tra scuole della stessa area, anche nella scuola dell’obbligo. Nell’università è desiderabile una maggiore concorrenza fra atenei, che porti a poli di eccellenza in grado di competere nel mondo; è ancora basso nel confronto internazionale il numero complessivo di laureati”.
Più di recente, in occasione del suo discorso programmatico al Senato, Draghi ha sottolineato come la scuola sia tra le “le priorità per ripartire” e ha tratteggiato i contorni di un disegno riformatore per il mondo dell’istruzione articolato su tre capisaldi: la “transizione culturale”, gli “istituti tecnici”, la “ricerca”.
Un’occasione da non sprecare
L’istruzione, dunque, è un tema centrale per il rilancio dell’economia. La formazione è infatti la chiave per sbloccare il potenziale delle nuove generazioni e ha un effetto moltiplicatore sulla produttività e il PIL. Aumentare il livello medio di istruzione nel nostro Paese (e non solo) consentirebbe di avere una forza lavoro più produttiva, una maggiore mobilità sociale e una popolazione più consapevole.
Abbiamo in mano tutte le carte giuste per non tornare allo status quo una volta superata l’emergenza: i veri cambiamenti sono spesso innescati da una crisi. E per quanto la pandemia abbia avuto un impatto devastante su molti settori – tra cui l’istruzione – la destinazione finale è ancora da scrivere e dipenderà in larga parte dallo sforzo collettivo e sistemico che riusciremo a mettere in campo.
In questo senso, si legge in un recente report dell’OCSE, la pandemia di Covid agisce anche come un richiamo all’importanza degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU, da raggiungere entro il 2030: il quarto dei 17 Obiettivi è dedicato proprio a “un’educazione di qualità, equa e inclusiva”. Insomma, la crisi attuale ha messo alla prova le nostre capacità di gestire eventi disruptive su larga scala. Ora spetta a noi utilizzare il lascito di questi mesi per costruire una società più resiliente.
Dal punto di vista dell’investitore
Ma cosa significa tutto questo per chi investe? Il tema dell’istruzione – come ogni trend di lungo periodo che si rispetti – offre interessanti opportunità anche per gli investitori. Esistono per esempio fondi comuni o comparti di SICAV che investono in titoli riconducibili all’“ecosistema educativo”: un ecosistema vasto, di cui fanno parte società che si occupano di gestione e amministrazione scolastica, di formazione permanente, di integrazione professionale, ma anche di edizione e distribuzione di libri e manuali, o ancora, di EdTech, vitto e alloggio, trasporto scolastico, finanziamenti allo studio e così via.
Quello dell’istruzione è tra l’altro un tema di responsabilità sociale, che si inserisce nella galassia ESG. Per approfondire l’argomento, il primo passo da fare è rivolgersi al proprio consulente di fiducia.