Le Vestali



- Autore
- Carlo Mo
- Data
- 1974
- Tecnica e supporto
- Acciaio inox saldato e scatolato
- Dimensioni
- 100 cm
- Collezione
- Creval
- Ubicazione
- Sondrio
Carlo Mo (1923 - 2004) trascorre infanzia e giovinezza a Genova, sua città d’origine, completando gli studi a Pavia dove vive e produce la maggior parte delle opere. La prima partecipazione alla Triennale di Milano risale al 1954 e nel 1964 cura le scenografie di concerti e opere teatrali alla Certosa di Pavia. Seguono molte esposizioni personali e collettive di grande successo in Italia e all’estero e commissioni di grande rilievo, come quella per la scultura Equilibrio collocata di fronte al palazzo della Triennale di Milano. Per anni è titolare della Cattedra di Scultura presso la Nuova Accademia di Belle Arti di Milano.
Focus sull'opera
La scultura è caratterizzata da una rigorosa impostazione geometrica di ascendenza modernista e gioca su un ritmo regolare di volumi, un equilibrio perfetto di incastri fissi e simmetrici. Immagine sintetica e sublimata delle antiche sacerdotesse dedite al culto di Vesta, dea romana del focolare domestico, essa si presenta come custode di uno spazio circoscritto, intimo, e appare nella sua forma essenziale e priva di retorica, imponente e massiccia. Una forma circolare aperta e accogliente da cui scaturisce una piramide-fiamma, figura pura ed essenziale, primordiale, che si proietta in alto con forza e chiarezza. L’acciaio inossidabile è materiale prediletto e amato dall’artista, che diceva: «Nella mia scultura ho sempre cercato di mettere la luce. (…) Per fare questo sono stato aiutato da un importante fattore tecnico. Ho un materiale nuovo – l’acciaio inossidabile – (…) che mi permette di bloccare la luce» (dal comunicato stampa della mostra “MO / Carlo Mo. Disegni, modelli, sculture, grandi opere. 1965-2000”)
Materiale resistente e compatto, l’acciaio disegna con precisione i profili dei corpi scultorei, alleggerendoli grazie al lavoro della luce sulla superficie stessa in cui si specchia il mondo circostante o la sua immagine-ombra. Scrive il critico d’arte Philippe Daverio: «Diventa lui protagonista d’un sentiero angusto e severo (…) ed è quello d’una ipotesi artistica nella quale la mente pura, quella matematica, la forma per noi atavica, quella euclidea, la sensibilità dell’industrioso, quella per i materiali, generano un linguaggio artistico che va ad inventare un mondo nuovo, mai esistito prima ma da sempre previsto, quello della concretezza dell’intelletto».