Emergenti, se li conosci puoi investire meglio
La prendiamo larga, partendo dal 2017: archiviato un anno assolutamente positivo, per i Paesi emergenti è iniziato un periodo decisamente più articolato e complesso, tra l’aumento dei tassi di interesse operato dalla Federal Reserve e il conseguente rafforzamento del dollaro USA, valuta nella quale è rinominato il loro debito che, proprio per questo motivo, diventa sempre più oneroso. Senza tralasciare gli effetti del protezionismo commerciale del presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump, che è andato a colpire molte delle economie afferenti alla categoria (Cina in primis). A questo proposito, può essere utile chiedersi: cosa vuol dire, oggi, essere un Paese “emergente”? E, soprattutto, come valutare l’eventuale inserimento di questa asset class nel proprio portafoglio di investimento? Vediamolo.
Proviamo a dare una definizione
Il gruppo, in effetti, appare alquanto eterogeneo, estendendosi dalle Americhe (Brasile, Cile, Colombia, Messico, Perù) al Medio Oriente e all’Africa (Emirati Arabi, Turchia, Qatar, Sud Africa, Egitto e via dicendo), passando per l’Europa (Russia, Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca) e arrivando fino in Asia. Cosa accomuna tutte queste aree? L’esistenza della categoria, infatti, fa presumere un set di caratteristiche in comune: quali sono? Per rispondere, dobbiamo partire da tre voci: Prodotto Interno Lordo pro-capite, crescita e popolazione. Nel complesso, i Paesi emergenti presentano un PIL pro-capite più basso, crescono in media di più e sono più popolati. Poi, nel dettaglio, i dati sono alquanto eterogenei: una grossa maggioranza della popolazione si concentra infatti in India e in Cina, mentre non tutti crescono allo stesso ritmo.
Un traino all’economia mondiale
Il Fondo Monetario Internazionale ci offre un ulteriore spunto arricchendo il dibattito: gli economisti dell’organismo mondiale, infatti, nelle loro tabelle operano una distinzione tra Paesi emergenti ed economie in via di sviluppo, ricomprendendoli comunque sotto un’unica voce quando si tratta di mettere a confronto la variazione del Prodotto Interno Lordo reale a livello globale: come si vede dal grafico, dal 2000 – e al netto degli anni della crisi – sono state proprio queste aree a trainare la crescita a livello planetario. E secondo le previsioni del Fondo Monetario, i tassi di crescita del PIL reale si confermeranno più alti rispetto a quelli delle economie avanzate anche nel prossimo quinquennio.
E allora emergenti: sì o no?
Indubbiamente si tratta di una classe di attivo piuttosto volatile, variegata e in continua evoluzione. Ha senso investire? Sicuramente i paesi emergenti hanno tutte le caratteristiche per apportare quel tocco di diversificazione in più al portafoglio di ogni investitore, cosa che non fa mai male. Ma evitare eccessive concentrazioni di rischio deve essere sempre e in ogni caso la regola aurea, anche quando le previsioni su questa asset class sono particolarmente positive: insomma, è d’obbligo una buona diversificazione. Se infatti è vero che alcune aree hanno già avuto un riprezzamento e offrono interessanti opportunità di reddito, è anche vero che la selezione dei paesi resta fondamentale, considerati i diversi profili in termini di vulnerabilità di ciascuno. Inoltre in questa fase, è sempre più opportuno adottare un orizzonte di investimento di medio e lungo termine.
I mercati emergenti rappresentano solo una parte di questo sistema complesso e interconnesso, formato da molteplici classi di attivo e strumenti di investimento, che prende proprio il nome di mercato finanziario. A volte è facile perdere la bussola, ma non bisogna disperare e rinunciare! Un valido alleato è possibile ritrovarlo nella figura del consulente, un professionista a nostra disposizione che saprà indicarci lo strumento di investimento più adatto ai nostri obiettivi di investimento, al nostro orizzonte temporale e soprattutto alla nostra propensione al rischio.